Ingresso in guerra dell'Italia

di Alessandro Chebat

“Ogni viltą convien che qui sia morta. Si fondano tutte le classi e tutti i partiti che sinceramente amano la Patria in un solo impeto di orgoglio e di fede, per ripetere come nelle giornate memorabili del maggio 1915 al nemico che ascolta in agguato: l'Italia non conosce che la via dell'onore”.
Gen. Luigi Cadorna

Durante i mesi di neutralità il panorama politico italiano, diviso, poco omogeneo e infiammato dalla lotta tra interventisti e neutralisti, incise molto sulle scelte dei militari. Infatti il Regio Esercito accettò il proprio ruolo tecnico attendendo ordini precisi che tardavano ad arrivare, ed evitando di pesare sulle scelte del governo. Anche i piani di guerra stilati dallo stato maggiore rispecchiavano le contraddizioni insite nella politica italiana. Sotto la guida del generale Alberto Pollio, schiettamente triplicista, in caso di guerra con la Francia lo stato maggiore prevedeva l’invio di tre corpi d’armata nella valle del Reno a sostegno delle truppe tedesche. Tuttavia nel 1914 esisteva un altro piano d’operazione finalizzato a contenere una possibile invasione austro-ungarica concentrando il grosso dell’esercito tra il Piave e la pianura veneta.

Dopo l’improvvisa morte di Pollio subentrò Luigi Cadorna. Nei nove mesi di neutralità egli si trovò nella difficile situazione di dover preparare l’esercito ad un conflitto ormai certo, senza ordini e direttive precise. L’organo decisionale rimaneva il governo mentre i militari erano subordinati ad una posizione consultiva che non permetteva loro di assumere decisioni importanti quali la preparazione della mobilitazione, lo stanziamento delle risorse e i provvedimenti alla frontiera. Vi era perciò una sostanziale incomunicabilità tra Cadorna e il governo: il primo era impegnato a rilanciare il ruolo dell’esercito ed impostare una politica estera di potenza mentre il secondo resisteva nel difendere le proprie prerogative.

Nonostante la sovrapposizione di responsabilità si avviò comunque un piano di miglioramento dell’esercito. Fu innanzitutto aumentato il numero degli ufficiali, con promozioni e corsi accelerati. Particolare cura si ebbe nell’incrementare le scorte di munizioni per il nuovo moschetto Carcano 91 e l’artiglieria leggera con l’introduzione di nuovi cannoni da 75 mm di buona qualità.
 

Anche questi provvedimenti testimoniavano però l’incapacità dei comandi italiani di leggere le novità intervenute durante i primi mesi di guerra. Nonostante le notizie provenienti dal fronte francese suggerissero un approccio più difensivo e meno avventato, Cadorna adottò un piano d’azione che poneva enfasi al “culto dell’offensiva”, con forze leggere che si scagliassero in assalti frontali contro gli avversari. L’idea del generalissimo consisteva nel concentrare tutti gli sforzi sul fronte dell’Isonzo, l’unico che permettesse azioni offensive di rilievo e, passando attraverso il settore che dal Tolmino porta al mare, aprirsi un corridoio tra gli altipiani del Carso fino a Lubiana e Vienna.

Fu così che mentre sul fronte occidentale facevano la loro comparsa calibri sempre più importanti e si scavavano trincee munite di mitragliatrici, il Regio Esercito varcò il Piave con poca artiglieria pesante e cannoni leggeri inadatti ad abbattere le fortificazioni. Quasi assenti le mitragliatrici: nel luglio del 1915 erano soltanto 618, per un totale di due armi per reggimento. La commessa di mitragliatrici Vickers non era stata ultimata, mentre la mitragliatrice Fiat 1914 stentava ad entrare in produzione a pieno regime.

Altro punto debole fu la lentezza e la confusione nella quale si realizzò la mobilitazione. Sebbene nel maggio del 1915 in Veneto fossero già stati ammassati ben 400 mila uomini, solo due corpi d’armata potevano definirsi inquadrati e pronti al combattimento. I piani del 1914 calcolavano in 23 giorni il tempo necessario per l’afflusso delle truppe alla frontiera, ma l’esercito fu pronto solo nella prima metà di luglio, oltre un mese e mezzo dopo la dichiarazione di guerra. I tentativi di accelerare i tempi dell’offensiva iniziale, sorprendendo l’esausto esercito imperial-regio, furono vani.

Un giudizio complessivo sulla preparazione delle forze armate e l’operato di Cadorna all’indomani del 24 maggio è difficile da tracciare. L’esercito entrò in guerra meglio preparato ed organizzato rispetto al 1914, tuttavia presentando enormi mancanze nell’artiglieria pesante e nelle armi automatiche. Ugualmente difficile è valutare l’approccio strategico: Cadorna in Italia è stato spesso giudicato severamente per l’ostinazione con cui lanciò le sue truppe al massacro, mentre all’estero lo storico inglese Basil H. Liddell Hart lo definisce “un uomo di abilità fuori dal comune”. Nel complesso si può affermare che il comandante in capo delle truppe italiane fu un generale privo di originalità: nel febbraio del 1915 Cadorna fece circolare tra gli ufficiali la cosiddetta Libretta Rossa dove esponeva le istruzioni delle modalità con le quali doveva essere condotta la guerra. In sintesi: attacchi frontali, sostenuti dall’artiglieria, da rinnovare fino al conseguimento degli obiettivi. La Libretta dava notevole importanza all’energia degli ufficiali al comando e alla superiorità della forza morale delle truppe lanciate all’attacco. Si trattava perciò di una riedizione dell’elan di scuola francese e nel complesso di tutta la cultura militare prebellica, fondata sul culto dell’offensiva e sulla fiducia che una spietata energia del comando potesse travolgere qualsiasi difesa. Perciò, nonostante la leggenda nera sulla mediocrità di Cadorna, si può affermare che semplicemente egli fosse in linea con la mentalità dell’epoca. Lui, come altri capi militari, non riuscì a percepire i cambiamenti imposti dai nuovi armamenti e dalla società industriale.

La guerra che l’Italia si apprestava a combattere era un conflitto senza precedenti, che superava di gran lunga le risorse della nazione nel 1915. Oltre alle difficoltà imposte dal terreno accidentato, dove il nemico occupava posizioni dominanti e facilmente difendibili anche con un numero limitato di uomini, il principale scoglio da superare sarebbe stato il sacrificio richiesto alla nazione e all’esercito. Alcune cifre risulteranno utili per definire lo sforzo italiano: il numero di mitragliatrici dalle 618 del maggio 1915 sarebbero passate a 8.200 del maggio 1917, l’artiglieria leggera da 1.797 pezzi a 2.452, mentre quella pesante da 132 pezzi a 2101.


Gallery

Luigi Cadorna [AF MSIGR 236/94]
Il generale Luigi Cadorna con altri ufficiali. 1915-17 [AF MSIGR 102/23]

Biografia

Gabriele D'Annunzio

Il 24 maggio 1915 il Regno d’Italia rompeva con la Triplice alleanza e dichiarava guerra all’Austria-Ungheria. Nei mesi di neutralità il paese assisté al confronto tra la maggioranza neutralista formata da socialisti, cattolici e giolittiani e la minoranza interventista. Quest’ultima, presente in tutte le forze politiche, registrava molti sostenitori tra nazionalisti, repubblicani e in particolare nel governo: il presidente del consiglio Salandra e il ministro degli esteri Sonnino. A determinare l’affermazione della minoranza interventista fu una somma di fattori. In primo luogo bisogna tenere conto della disorganizzazione del fronte neutralista. I liberali presentavano più o meno evidenti spaccature al loro interno, i cattolici erano privi di un vero partito politico e non potevano esprimere appieno la propria opposizione all’intervento, mentre i socialisti, spiazzati dal voto favorevole della socialdemocrazia tedesca ai crediti di guerra, si barricarono dietro l’ambiguo motto “né aderire né sabotare”. Al contrario il fronte interventista seppe far valere le proprie ragioni sfruttando il sostegno della monarchia e dei liberali loro favorevoli e intensificando lo scontro politico portando le loro idee sui giornali e nelle piazze.

Buona parte dell’élite intellettuale come D’Annunzio, Salvemini e i futuristi fece il proprio ingresso nella lotta politica come parte attiva, fondando su motivazioni ideali e morali la scelta di intervento, che non poteva esaurirsi in una mera politica di potenza. Il retroterra culturale dell’interventismo si basava sul mito risorgimentale e irredentista che vedeva l’entrata in guerra come il completamento dell’unità nazionale nonché sulla tradizione democratica e mazziniana che considerava l’intervento un aiuto fornito alla Francia, patria della rivoluzione del 1789 e dei diritti dell’uomo. Anche gruppi di socialisti, capeggiati da Mussolini e Corridoni, si dichiararono favorevoli alla scelta delle armi, come, d’altra parte, importanti quotidiani come il Corriere della Sera di Luigi Albertini. A creare un vasto uditorio attorno all’intervento vi era infine il movimento futurista, che glorificava la guerra come “unica igiene del mondo”.

Nel fronte interventista spiccò in particolare la figura di Gabriele D’Annunzio (1863-1938). Già noto per la propria attività letteraria e poetica, D’Annunzio fu uomo del suo tempo, pervaso da un atteggiamento ottimistico e di esaltazione e influenzato da un’interpretazione personale del superomismo nietzschiano. Il poeta pescarese intuì le potenzialità offerte dai mezzi di comunicazione di massa, dai pamphlet ai quotidiani, e se ne servì per creare un culto della personalità attorno alla sua figura, nonché per conseguire i propri obbiettivi politici. Tramite un’oratoria ricca di parole ricercate, l’ostentazione della fisicità e il gusto per l’azione spettacolare, D’Annunzio fu una figura centrale per la vittoria della causa interventista. Egli fornì motivazioni storiche e culturali più o meno forzate e un apparato di simboli, significati e parole d’ordine che trovarono grande eco nell’opinione pubblica. Più efficace nell’oratoria e nella comunicazione del “poeta della mitragliatriceFilippo Tommaso Marinetti, D’Annunzio seppe forgiare un’ideologia interventista nella quale si fondevano e confondevano diverse prospettive. Queste univano immagini e idee di più parti politiche: il mito di Roma e la retorica risorgimentale tanto care a nazionalisti e repubblicani, la guerra come rito collettivo in grado di creare cesure epocali nel quale si ritrovava quella parte del movimento socialista e sindacale che aveva aderito all’interventismo, il gusto per il pericolo, l’irriverenza e l’esaltazione della guerra prospettate dal movimento futurista. In questo contesto D’Annunzio diveniva il capo o Vate che di volta in volta tendeva a dominare le masse o a confondersi in esse.

Episodio simbolo della retorica dannunziana fu il comizio tenuto in occasione della Sagra di Quarto, il 5 maggio 1915, durante l’inaugurazione del monumento alla spedizione dei Mille. Il discorso fu un trionfo di retorica populista e nazionalista: con esso D’Annunzio richiamava la nazione, “dalla maestà del Re all’operaio rude”, alla necessità di un intervento in guerra a fianco dell’Intesa. Il testo, un’accorata esaltazione della guerra, comprendeva riferimenti alla romanità, ai miti risorgimentali, alla necessità di liberare Trento e Trieste, facendo appello alle superiori forze morali e culturali degli italiani. D’Annunzio inoltre elevava Garibaldi ad eroe mitico, rilanciando la necessità di una nuova impresa che portasse a compimento ciò che era stato iniziato dai Mille.

L’intento attualizzante risulta evidente nel passo in cui pronuncia: “Quando nella selva epica dell'Argonna cadde il più bello tra i sei fratelli della stirpe leonina, furono resi gli onori funebri al suo giovine corpo che fuor della trincea il coraggio aveva fatto numeroso come il numero ostile”. Tale passaggio faceva riferimento ai volontari italiani della Legione Garibaldina, impegnata in Francia sul fronte delle Argonne, dove erano caduti Bruno e Costante Garibaldi, nipoti dell’eroe dei due mondi. Fu persino ventilata l’idea di far sbarcare sullo scoglio di Quarto i reduci della Legione, cui nel frattempo era giunto l’ordine di ritirarsi dal fronte francese. La proposta fu tuttavia rifiutata da Ricciotti Garibaldi e ad occupare la scena restò solo D’Annunzio, che concluse la sua dichiarazione di guerra con “Beati i ritornanti con le vittorie, perché vedranno il viso novello di Roma”.  Il discorso fu accolto con uno scroscio di applausi coronati da “Viva Trento e Trieste, Viva la guerra”.

La “grande vigilia” del “maggio radioso” era giunta: il 26 aprile erano stati firmati in segreto i patti di Londra che legavano l’Italia all’Intesa. Il discorso, riportato sulla stampa il giorno seguente, accese ulteriormente gli animi: tre settimane dopo l’Italia entrava in guerra.


Link

https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/interventionism_italy
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/cadorna_luigi


Letture

Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, il Mulino, Bologna 2008
J. Hurter, G.E. Rusconi, L'entrata in guerra dell'Italia nel 1915, il Mulino, Bologna 2010
Andrea Frangioni, Salvemini e la Grande Guerra: interventismo democratico, wilsonismo, politica delle nazionalità, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 2011