Le prime offensive sull'Isonzo

di Alessandro Chebat

I primi mesi di guerra sul fronte italiano si risolsero in sanguinosi e inutili attacchi frontali. Anche sull’Isonzo il conflitto assumeva le caratteristiche della guerra di trincea, resa pił difficoltosa dal terreno montuoso. Gorizia divenne una meta sognata e odiata dai soldati.

La vallata dell’Isonzo fu il fronte lungo il quale gli italiani profusero più sforzi per aprirsi una breccia tra le difese austro-ungariche. La linea di combattimento partiva dal Monte Tolmino giungendo fino al mare. Proprio il Tolmino, saldamente controllato dagli austro-ungarici, sbarrava agli italiani l’uscita del fiume dalle montagne. Infatti l’Isonzo scorreva incassato tra due alti ciglioni sui quali si erano attestati gli schieramenti avversari. Gli italiani erano riusciti a varcarlo solo in corrispondenza di Plava, garantendosi il controllo di una piccola testa di ponte, mentre gli imperial-regi tenevano saldamente i due lati del fiume alle porte di Gorizia. Oltre l’Isonzo si aprivano una serie di altopiani e basse montagne come la Bainsizza, il Sabotino e il Calvario. Al comando delle truppe austro-ungariche vi era il generale croato Svetozar Borojević von Bojna, il quale aveva fatto arretrare le sue truppe sulla frontiera militare, così da occupare posizioni dominanti meglio difendibili. Fu contro questo fronte che tra il 23 giugno e il 2 dicembre del 1915 si infransero le prime quattro offensive italiane.

Ai suoi esordi la guerra di Cadorna fu condotta sempre con gli stessi metodi nonostante l’assenza di risultati significativi. Gli attacchi erano preceduti da un intenso fuoco delle artiglierie da 75 mm che si rivelarono insufficienti a neutralizzare le difese avversarie. Queste ultime, anche se improvvisate e tutt’altro che munite, erano situate in posizioni dominanti, ben piazzate e difese da truppe esperte. Dopo il bombardamento le truppe si lanciavano all’assalto in settori limitati, per poi allargare l’attacco su un fronte più ampio. La potenza delle artiglierie italiane era insufficiente a distruggere i reticolati e rimuoverli con le pinze tagliafili in dotazione non faceva che aumentare le perdite. Dal canto loro i tubi di gelatina, pur praticando dei varchi nel filo spinato, facevano sì che gli attacchi si incanalassero di fronte alle mitragliatrici austriache.

Alla fine delle prime quattro battaglie Cadorna aveva perso circa 183 mila uomini, Gorizia e Trieste rimanevano austriache e, nonostante il notevole salasso di perdite e il valore dei reparti, nessun obiettivo significativo era stato raggiunto. Unico elemento “positivo” nella triste logica della guerra di logoramento erano i circa 124 mila morti, feriti e dispersi inflitti agli avversari. Perdite che pur essendo inferiori, erano state comunque elevate e difficilmente rimpiazzabili, in quanto l’imperial-regio esercito aveva meno riserve umane degli italiani.
I primi sei mesi di guerra si conclusero con “l’esaurimentodelle truppe italiane e il sostanziale fallimento di tutti gli attacchi nonostante la netta superiorità numerica. Le ragioni del mancato successo sono molteplici. La mobilitazione del regio esercito fu lenta e caotica, tanto da compromettere una rapida avanzata sfruttando le difficoltà incontrate dall’esercito austro-ungarico in Serbia e Galizia. Quando in seguito Cadorna si decise ad attaccare, si trovò di fronte ad un avversario ancora inferiore di numero, ma in crescente disponibilità di uomini e mezzi. Infatti i russi stavano indietreggiando sotto i colpi delle truppe di Mackensen mentre i serbi, pur vittoriosi nei mesi precedenti, avevano esaurito qualsiasi capacità offensiva. Dal rapporto iniziale di tre a uno a favore delle truppe italiane tra maggio e giugno, si passò infatti ad un rapporto di due a uno tra ottobre e novembre.

Si deve poi tenere conto delle notevoli deficienze italiane negli armamenti e nell’addestramento. Ad un’artiglieria media e pesante scarsa (poco più di 300 pezzi in totale) e cronicamente a corto di munizioni, si aggiungeva la debole potenza di fuoco dei reparti, che non disponevano di un sufficiente numero di mitragliatrici. L’imperial-regio esercito aveva invece fatto tesoro delle esperienze dei primi mesi di guerra, dotando le proprie truppe di armi automatiche e di un’artiglieria non numerosa, ma adeguata e ben diretta.

Inoltre il cosiddetto “attacco metodico” prospettato da Cadorna, che consisteva in ripetuti assalti sempre più ampi così da trovare delle “falle” nel fronte avversario, imponeva alte perdite solo in parte compensate dalla maggiore disponibilità di uomini. Contrariamente il generale Borojević von Bojna concentrava i propri sforzi in contrattacchi settoriali limitati, ben condotti e sostenuti dall’artiglieria, che sovente riconquistavano alle truppe italiane postazioni duramente contese.

A complicare ulteriormente il quadro giungevano infine le caratteristiche geografiche dello scenario di guerra italiano. Se il fronte dell’Isonzo era caratterizzato da fiumi e vasti altopiani occupati dagli avversari, il fronte trentino si incuneava pericolosamente alle spalle dello schieramento italiano. Ciò imponeva il forte presidio di quest’area e la sottrazione dal settore isontino di uomini e mezzi, che si trovavano dispersi su un fronte vasto, la cui estensione era inoltre moltiplicata dai rilievi montuosi.

In Italia come in Francia le speranze di un conflitto rapido svanivano, cedendo il posto ad una lunga e sanguinosa guerra di logoramento. Nonostante il valore e lo spirito di sacrificio dimostrato dalle truppe, nel dicembre del 1915 il Regio Esercito si trovava allo stremo e in una pericolosa crisi, con reparti raccogliticci e paurosamente sottodimensionati a causa delle perdite subite. Tale situazione non fu immediatamente notata dai comandi austro-ungarici i quali non avevano ancora la forza per condurre grandi azioni offensive contro gli italiani. Le grandi operazioni ristagnarono fino all’agosto del 1916 quando, dopo aver respinto la Strafexpedition in Trentino, l’afflusso di  nuove reclute e il potenziamento materiale dell’esercito permise di riprendere con maggior decisione ed efficacia l’offensiva su Gorizia.


Gallery

Isonzo. Soldati italiani impegnati nella costruzione di trincee in cemento armato. [AF MSIGR 360/4]
Truppe italiane di rincalzo. 1916-18 [AF MSIGR 1/324]

Testimonianze

All’attacco sul fronte dell’Isonzo

Dalla circolare del Comando Supremo del 15 luglio 1915, che detta le linee tattiche per l’attacco
Le truppe irrompono con la massima violenza possibile alla baionetta attraverso i varchi aperti nei reticolati per conquistare la trincea più prossima dell’avversario e quindi muovere, rafforzate da altre truppe sopraggiungenti come onde rincalzantesi verso l’obiettivo principale, essendo principio fondamentale l’occupazione di quest’ultimo, e non quella delle successive trincee nemiche.

Dal resoconto di un ufficiale del 16° reggimento fanteria, impegnato nella zona dei Sei Busi
2 luglio (venerdì). Nella notte militari del Genio fanno vari tentativi per far brillare i tubi davanti ai reticolati posti davanti al 4° battaglione. Né migliori risultati si ottengono con le pinze tagliafili, poiché il nemico vi si oppone con ben mirato tiro di fucileria, portando vari abili tiratori sul d’innanzi delle proprie trincee nascosti tra i cespugli. Si hanno una quindicina di feriti e soltanto si riesce a fare una breccia di una 2ina di metri nel primo ordine dei reticolati composti di un solo filo.

Il contadino astigiano Massimo Imanone ricorda, a guerra finita, il suo primo assalto
[...] nel mentre arriva il Maggiore generale Demichele comandante la brigata Cagliari 63° 64° dette ordine di avanzare istantemente, sotto un fuoco infernale di fucileria e mitragliatrici. Eppure sotto la disciplina del dovere; si fremeva in silensio eseguendo l’ordine. Il terrore e lo spavento delle prime vittime sul Campo erano indescrivibili. A mezzo giorno fu iniziato il secondo assalto quando vidi a cadere il nostro comandante di battaglione – Tenente colonello Henzingher Cavaglier Francesco.

Dal diario del soldato Cesare Barbieri (63° reggimento)
Siamo partiti per conquistare un’altra trincea, considerata molto importante. Riuscimmo a occuparla, ma da quel momento gli Austriaci cominciarono a bersagliarla palmo a palmo causando morti e feriti. Pochi erano gli scampati senza alcun riparo, affamati ed assetati.

Il comandante della Brigata Cagliari ribadisce il suo ordine di attacco
Malgrado le assicurazioni ricevute non si vede ancora dopo oltre un’ora che venne ricevuto l’ordine alcun reale impulso nell’avanzata del reggimento meno qualche pattuglia. I comandanti si mettano alla testa dei rispettivi reparti e diano quell’impulso che evidentemente manca…Si deve avanzare a qualunque costo per gli ordini perentori insistenti, assolti dei Comandanti superiori. Ne va del buon nome della Brigata.

Da una memoria coeva del soldato Giovanni Pistone, contadino
20 luglio 1915. Il primo sbalso siamo arrivati sotto la trincea a circa 10 metri ma eravamo pochi un tenente e un sergente forse qualche caporale ma in tutti saremo stati 40 e così si siamo fermati ed il tenente mandò un porta ordine a chiamare i rinforzi ma non torno più nissuni… Dopo un po’ di tempo le nostre artiglierie si iniziano il bombardamento e sparavano i pezzi grossi, ma sparavano avanti assai nelle seconde linee nemiche, ma la paure era che se il tiro veniva corto per sventar le mitraglie era il nostro pericolo. Poi alla fine una decisione bisogna prenderla. O darsi prigionieri o tentare la fuga. Ognuno di noi faceva come melio la vedeva li non erano più ordini; qualcheduno tento di andare in dietro ma li acopavano, più di tutto era un posto molto scoperto poi era giorno.

Da parte austriaca, una relazione ufficiale sulla seconda battaglia dell’Isonzo
Le sostituzioni subirono molestie e ritardi a causa di attacchi parziali avversari effettuatisi tra il 31 luglio ed il 1 agosto nei punti di pressione contro la fronte, col favor dell’oscurità, sì che i difensori, già esposti lungo la giornata ai tiri delle artiglierie pesanti, non avevano requie neppure la notte. E così quelle tre giornate di calma relativa avevano pur sempre costato al VII Corpo circa 4000 uomini.

Dal diario del triestino Callisto Tirelli, soldato nell’esercito austro-ungarico
Siamo andati in trincea sula strada. Il giorno 17.X.15 fu un combatimento sul Sei Busi che pareva la fine del mondo. Il mio Bataglione di 900 uomini in tre ore combatimeno siamo andati in riposo a Opachiasela il Magiore appena arrivati fa l’apelo eravamo più che 230 uomini chi morti chi feritti al nostro posto adato il cambio il 18 Regt Dalmati ancor l’oro lì a tocato la sua, ma a vedere che desolazione sunquel campo di bataglia erano i cadaveri da 5 giorni che nesuno poteva sepelirli causa il grandi combatimenti moltissimi morti e feriti d’ambo le parti poveri Austriaci poveri Italiani.

Da Lucio Fabi, Gente di trincea. La grande guerra sul Carso e sull’Isonzo, Mursia, Milano, 1994, pp. 59 ss.


Biografia

Luigi Cadorna

Luigi Cadorna, il generale che guidò il Regio esercito fino a Caporetto, nacque a Pallanza il 4 settembre del 1850. Figlio del conte Raffaele Cadorna, generale che condusse la conquista di Roma nel 1870, fu presto avviato alla carriera militare, frequentando la scuola militare Teuliè di Milano e l’accademia militare di Torino. Fece rapidamente carriera scalando la gerarchia fino ad occupare la carica di capo di stato maggiore dell’esercito nel luglio del 1914.

Con l’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale, Cadorna ebbe finalmente modo di mettere in pratica le sue convinzioni sulla bontà dell’offensiva ad oltranza. Egli si presentava di fronte al conflitto come un generale stimato, anche se privo di esperienza. Infatti nel corso delle guerre condotte dall’Italia liberale, campagne militari dai risultati spesso incerti e a volte disastrosi, egli mai aveva occupato posizioni di comando.

Chiamato a guidare un esercito scarsamente addestrato e in cronica crisi di armamenti pesanti, egli persistette con pervicacia con la strategia degli attacchi frontali in colonne compatte, che costava perdite altissime. Pervaso da un radicale senso del dovere e dalla convinzione che tutto andasse sacrificato per la vittoria, Cadorna si guadagnò l’odio della truppa e di non pochi ufficiali.

L’inclinazione autoritaria del generalissimo e i continui siluramenti di quegli ufficiali che contestavano le direttive superiori, lo portarono a circondarsi di collaboratori di scarse qualità. Paradossalmente questo fatto contribuì ad allentare il controllo di Cadorna su altri generali autorevoli come Luigi Capello mentre i rapporti tesi con il governo e il parlamento non gli fecero guadagnare sostegno politico.

Nonostante questi elementi negativi occorre sottolineare come Cadorna seppe ben governare diverse situazioni critiche. In occasione della Strafexpedition, nel maggio del 1916, di fronte al rischio di un crollo del fronte, egli reagì con determinazione arrestando l’offensiva con l’afflusso di rinforzi e concentrando le truppe di riserva nella pianura vicentina: una manovra logistica di grandi dimensioni condotta con decisione ed intelligenza. Scongiurato il pericolo di uno sfondamento in Trentino fu sempre Cadorna ad ordinare l’approntamento di postazioni difensive e logistiche sul Monte Grappa, scelta che si rivelerà vincente dopo Caporetto.

Dopo la conquista di Gorizia, a causa del costante aumento delle perdite, Cadorna iniziò timidamente a mettere in dubbio la validità dell’offensiva ad oltranza, optando per l’arrestare dell’attacco frontale quando iniziasse a dimostrarsi troppo “costoso” in termini di vite umane. Tuttavia anche questa soluzione si dimostrò fallimentare, sia per l’aumento delle capacità difensive degli austro-ungarici che per l’incapacità dei generali italiani di trovare soluzioni alternative all’attacco frontale. Cadorna aveva poi un controllo sempre più ridotto sui sottoposti, cosa assai grave che rendeva difficile arrestare l’offensiva anzitempo. Fu così che le successive spallate sull’Isonzo ebbero il solo effetto di conquistare pochi chilometri di terreno difficilmente difendibile, nonché dissanguare ulteriormente reparti già provati dalla durezza del fronte.

La scarsa attenzione del generalissimo nei confronti delle condizioni morali e materiali delle truppe, ormai giunte allo stremo delle forze e incapaci di sostenere nuovi sforzi offensivi, contribuì al disastro di Caporetto il 24 ottobre 1917. In quel frangente Cadorna fu oggetto di violente accuse, dalle quali si difese maldestramente incolpando i soldati di viltà e scarsa resistenza. In effetti alcuni reparti si erano arresi con eccessiva facilità, mentre altri avevano combattuto valorosamente, tuttavia il disastro di Caporetto fu dovuto in primis dalla strategia velleitaria di Cadorna, condivisa dagli altri vertici militari. Trincee situate su posizioni troppo esposte, reparti lasciati in prima linea per lunghi periodi, nessuno svago che potesse rendere meno penosa la guerra, le poche licenze, minarono il morale e la combattività delle truppe. Da attribuire unicamente all’operato di Cadorna fu invece la sottovalutazione dell’attacco, nonostante le informazioni fornite da disertori austro-ungarici. La mancanza di truppe di riserva e la disorganizzazione della catena di comando trasformarono un attacco tutto sommato modesto in una disfatta. E’ indicativo il fatto che già il 27 ottobre Cadorna abbandonò il quartier generale di Udine trasferendosi a Treviso, a oltre cento chilometri di distanza dal fronte, senza lasciare alcun alto ufficiale a gestire la ritirata.

Accusato di essere il principale responsabile del disastro, ancor prima di essere sostituito da Armando Diaz, Cadorna ebbe tuttavia il tempo di organizzare le difese sul Piave. Isolato dall’ambiente militare e politico, Cadorna si ritirò a vita privata chiudendosi in uno sdegnoso silenzio e affidando la difesa del suo operato a due volumi di memorie. Dopo la guerra non aderì al fascismo, tuttavia Mussolini lo nominò, assieme a Diaz, Maresciallo d’Italia. Morì a Bordighera il 21 dicembre del 1928.


Link

https://www.turismofvg.it/la-seconda-battaglia-dell-isonzo
https://www.turismofvg.it/it/r85388
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/isonzo_battles_of
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/cadorna_luigi


Letture

John Schindler, Isonzo: the forgotten sacrifice of the Great War, Westport, Praeger, 2001
Piero Pieri, a cura di Giorgio Rochat, La prima guerra mondiale 1914-1918. Problemi di storia militare, Udine, Gaspari, 1998
Gianni Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano. 1915-1918, Milano, Mursia, 2009
Giacomo Bollini, La grande guerra italiana. Le battaglie. Le 12 battaglie dell'Isonzo, le tre del Piave, le battaglie sul Grappa e sugli Altipiani, Gaspari, 2015