La guerra dei forti sugli altipiani

di Alessandro Salvador

“Le anime nostre sono ben pił devastate del mucchio di rovine che dobbiamo difendere”.
Fritz Weber, ufficiale della guarnigione del forte Verle

Nell’agosto del 1915 le forze italiane lanciarono una pesante offensiva sul fronte trentino. L’artiglieria italiana bombardò con costanza le fortificazioni austriache sugli altipiani, cercando di distruggerle per favorire la penetrazione della fanteria attraverso le linee nemiche. 
La guerra dei forti aveva origini lontane e le sue conseguenze, trascurabili sul piano tattico, mostrarono l’inadeguatezza degli eserciti in campo rispetto alle esigenze del conflitto che si stava combattendo. 
Nonostante l’alleanza che legava Italia e Austria dal 1882, era chiaro che entrambe le nazioni non avevano fiducia l’una nell’altra. Agli occhi degli strateghi di entrambe le parti il territorio trentino rappresentava il settore più delicato, infatti costituiva un saliente nel confine italiano adatto per un’offensiva da parte austriaca. Questo fatto ne faceva un obiettivo primario anche per un’eventuale attacco italiano finalizzato ad attestarsi sulla sicura linea del Brennero. Fu così che entrambi i paesi avviarono dei lavori di fortificazione del confine ad inizio Novecento, costruendo numerose fortezze attrezzate con artiglieria e mitragliatrici. Da parte austriaca il principale promotore di queste realizzazioni fu il generale Conrad.
Allo scoppio della guerra nel maggio del 1915, le fortezze italiane di Campolongo, Punta Corbin e Campomolon iniziarono a bombardare i forti austriaci. Con l’eccezione di alcuni tentativi di assalto alle postazioni imperialregie, le prime fasi del conflitto videro un costante scambio di colpi di artiglieria. Gli italiani miravano allo smantellamento dei forti che, tuttavia, si rivelò più difficile del previsto. Le strutture coinvolte, situate nella zona degli altipiani, erano le più moderne edificate dall’Austria e per questo in grado di offrire un’adeguata resistenza all’artiglieria italiana, ancora sottodimensionata nelle prime fasi della guerra rispetto al compito che si prefiggeva. 
 

 

Tuttavia queste azioni misero in luce le vulnerabilità del sistema di fortificazioni. Se, infatti, le strutture sembravano reggere bene, i soldati non erano altrettanto coriacei. Un evento singolare fu il crollo nervoso che colpì il tenente Gimpelmann, comandante delle truppe di forte Verle, presso Vezzena. Approfittando di una pausa nei bombardamenti, ordinò d’abbandonare la postazione lasciandola in mano a due ufficiali che rifiutarono di ripiegare assieme ad una quarantina di uomini. Ugualmente al forte di Luserna, pesantemente danneggiato dai bombardamenti, il comandante alzò bandiera bianca, anche se la resa fu impedita da altri fattori. Inefficaci furono pure i tentativi italiani di distruggere il forte sul Pizzo di Levico. Questa postazione, situata a 1900 metri d’altezza, offriva una posizione di osservazione privilegiata all’esercito austriaco. I proiettili sparati contro le fortificazioni durante i continui attacchi di artiglieria nella maggior parte dei casi sorvolavano la posizione per ricadere sui villaggi della Valsugana costringendo le popolazioni ad evacuare. 
Conrad sperava di usare i forti come il punto di partenza di una massiccia offensiva che avrebbe dovuto portare alla rottura delle linee italiane e ad un’espansione a ventaglio nella pianura padana. Prendendo alle spalle il fronte orientale italiano avrebbe vanificato ogni ulteriore tentativo difensivo da parte avversaria. Questa sua strategia non trovò però appoggio presso i suoi superiori, soprattutto i tedeschi, che consideravano fondamentale concentrare le truppe sul fronte francese o su quello orientale, che stava impiegando buona parte dell’armata austro-ungarica. Nella visione generale del conflitto il fronte italiano era ritenuto secondario e le fortificazioni trentine dovettero limitarsi ad un ruolo meramente difensivo. Il principale tentativo italiano di condurre un’offensiva generalizzata sugli altipiani si ebbe nell’agosto del 1915, quando un pesante bombardamento di artiglieria fu diretto sui forti dell'altopiano di Vezzena. L’attacco di fanteria, condotto con metodi risorgimentali, cioè con assalti guidati dalla fanfara, mazze chiodate e fucili a colpo singolo, si rivelò fallimentare. Anche se gli austriaci dovettero ricorrere a dei rinforzi in quel settore del fronte la situazione rimase immutata. Nel corso di quell’attacco e dei successivi scambi di artiglieria che proseguirono fino al 1916, le fortificazioni austriache rimasero comunque pesantemente danneggiate e il sistema dei forti venne abbandonato, avendo dimostrato la propria inutilità. Il passaggio alla fase successiva della guerra di posizione in montagna non cambiò comunque le sorti del conflitto in quel settore del fronte che rimase, di fatto, immobile fino alla fine della guerra. 


Gallery

Particolare delle artiglierie dei forti italiani. Le tre cupole da 149 mm del forte Casa Ratti, una postazione che coadiuvava il pił grosso Forte Corbin [Centro Documentazione Luserna - Dokumentationszentrum Lusern onlus]
Il forte Busa Verle colpito da una granata italiana di grosso calibro [Centro Documentazione Luserna - Dokumentationszentrum Lusern onlus]

Testimonianze

Fritz Weber

Fritz Weber, scrittore e giornalista austriaco, nato nel 1895 e deceduto a Vienna nel 1972, partecipò alla Grande Guerra e raccontò la sua esperienza in numerosi libri. Ufficiale di artiglieria, prestò servizio per tutta la durata del conflitto sul fronte italiano, prima sugli Altipiani e poi sull’Isonzo. Alla conclusione della guerra era schierato sul fronte del Piave e partecipò all’ultima battaglia lì combattuta dall’esercito imperiale austro-ungarico.
Il libro di maggior successo di Fritz Weber è senza dubbio Tappe della disfatta: uscito in edizione originale nel 1931 riscosse grande successo editoriale venendo più volte ristampato. Per il pubblico italiano fu tradotto e pubblicato dall’editore Ugo Mursia nel 1965. È un racconto autobiografico amaro quello che ci lascia Weber, nel quale emerge come lo scrittore austriaco sia segnato da una profonda contraddizione interiore. Il militare, pur disgustato dall’insensatezza della guerra, rimane fermamente deciso nel fare il proprio dovere.

Dal libro traiamo alcuni brani che raccontano la primissima fase della guerra.
Qui il tenente Weber è di servizio sul forte Verle.

"Solo i forti sono veramente in ordine e costituiscono la spina dorsale di questa linea in apparenza così debole. Nessuno, tuttavia, può ancora sapere quale sarà la loro effettiva resistenza al fuoco.
Cima di Vezzena, il più settentrionale dei quattro forti, costruito su un cocuzzolo roccioso a 1900 metri d’altezza, non ha un campo di tiro vasto. Esso venne, appunto per questo, concepito soltanto come posto di osservazione fortificato e armato con cinque mitragliatrici. Verle, Luserna e Gschwendt sono, invece, in piena efficienza: ogni forte ha una guarnigione di trecento uomini e dispone di quattro obici posti in torri corazzate girevoli, di due cannoni affiancati dietro scudi frontali, di quattro cannoni in casematte per battere l’antifosso… Infine, viveri e munizioni per cento giorni…
Il presidio dovrebbe comprendere nove ufficiali e trecento uomini. Verle, invece, ha solo due ufficiali: il comandante, tenente Gimpelmann, e il sottotenente Papak, oltre a tre aspiranti e a un medico. Gli artiglieri sono duecento e cento gli zappatori del genio. Si tratta in gran parte di elementi giovani, sui quali si può contare….
I giorni passano, uno uguale all’altro…I fonogrammi incalzano: tenersi pronti, pronti il più possibile…Di notte, collochiamo sentinelle nella linea avanzata, per evitare possibili sorprese. Non notiamo però nulla di sospetto. Il paesaggio è sprofondato nel silenzio e, ad eccezione della sentinella del forte Verena, non si vede un solo italiano…
Un baccano infernale ci strappa dal sonno.…Un tuono: per alcuni secondi percepiamo il caratteristico mugolio del proiettile, quindi lo scoppio. Le pareti tremano. Poi, di nuovo silenzio….
Ogni tre minuti un colpo. Il cemento armato vibra come bronzo. Si direbbe che i proiettili scoppino sulle nostre teste. A un tratto, un’esplosione più forte delle altre: una seconda batteria ha aperto il fuoco su di noi….
Ci arrampichiamo sui contorti gradini della scaletta. La piattaforma è sconvolta, il pezzo giace di traverso, lo scudo presenta un enorme squarcio. Il fumo è soffocante….
Sopra Forte Cima di Vezzena ondeggia una nuvola di fumo a forma di grappolo. Anche Luserna è bombardata…
Scompariamo di nuovo; questa volta la granata scoppia davanti a noi, sugli spalti in cemento. La torretta è immersa in un nugolo di polvere… Ci rialziamo e attendiamo. La stessa scena si ripete per sei ore consecutive. Ogni tre minuti ci appiattiamo, mentre una esplosione lacera i nostri timpani. La testa ci gira come una trottola. Dopo sei ore di fuoco, dodici di sosta; quindi altre sei d’inferno, se primo non veniamo fatti a pezzi….
All’improvviso, la nebbia, che avvolgeva il Costesin, si dissolve e noi possiamo scorgere una vera e propria città di tende. Molte sono mezze nascoste sotto gli alberi, ma altre stanno allo scoperto. Vediamo distintamente gli italiani muoversi, dato che la distanza non supera i milleseicento metri. Questo accampamento rappresenta uno di quei tipici fenomeni d’inesperienza bellica possibile solo nei primi giorni di guerra. Forse, gli italiani credevano di avere già ridotto al silenzio il forte….
Nel frattempo, si svolge a Luserna una tragedia provocata dalla perdita di controllo dei propri nervi, e che, per vero miracolo, non provoca la perdita dell’intera linea di Lavarone. Il comandante, certo tenente Nebesar, nel timore di una sorpresa nemica, aveva tenuto in piedi tutti i suoi uomini per tre giorni e tre notti, senza lasciarli dormire. Un allarme si susseguiva all’altro, le torrette erano occupate in permanenza e nelle postazioni per le mitragliatrici vegliavano uomini spossati dalla stanchezza. Tutto ciò, perché il cervello, che doveva comandare, era incapace di valutare esattamente la situazione in cui il forte si trovava…
Verso le 16, l’osservatore di servizio, nella torretta corazzata girevole, comunica che quattro bandiere bianche sono state issate su Luserna. Non possiamo credere alla cosa e fremiamo di sdegno. Se uno dei forti cade, tutta la linea va in pezzi…
Soltanto chi per settimane intere è rimasto chiuso in uno scatolone di cemento, sotto il martellare delle granate, può rendere giustizia agli uomini di Luserna. La guarnigione era composta dagli stessi soldati fidati e valorosi, che costituivano la guarnigione degli altri forti. La colpa fu tutta del comandante, pazzo più che vile".

 


Link

http://www.magicoveneto.it/Altipian/grandeguerra.htm
http://www.lusern.it/it/home-centro-documentazione/ 


Letture

Nicola Fontana, La regione fortezza. Il sistema fortificato del Tirolo: pianificazione, cantieri e militarizzazione del territorio da Francesco I alla grande guerra, Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto 2016
Il recupero dei forti austro-ungarici trentini, a cura di Morena Dallemule e Sandro Flaim, PAT 2014
Umberto Mattallia, La guerra dei forti sugli altopiani 1915-1916: Vezzena, Lavarone, Folgaria, Altopiano dei Sette Comuni, Novale di Valdagno (VI), Rossato, 2003
Loris Zigliotto, Guida ai forti della Grande Guerra sul “fronte invalicabile”, Udine, Gaspari, 2008