La Rivoluzione di Febbraio e il crollo della Russia..

di Alessandro Chebat

"A Pietrogrado alcuni giorni fa sono cominciati i disordini. Anche le truppe, purtroppo, hanno cominciato a prendervi parte. È una sensazione terribile sentirsi così lontani e ricevere soltanto notizie brutte e frammentarie!"
Dal diario di Nicola II nei giorni della rivoluzione di febbraio

Dopo l'offensiva di Brusilov il fronte orientale era caduto in una sostanziale impasse, sia per i maggiori sforzi tedeschi ad ovest, sia per l'incapacità delle armate zariste di ripianare le enormi perdite subite nella primavera del 1916. All'interno dell’Impero Russo la situazione andò deteriorandosi per la carenza di generi di consumo e il crollo dei rifornimenti alimentari per i principali centri abitati. La situazione divenne ben presto critica quando a Pietrogrado giunsero solamente 49 carri ferroviari giornalieri di vettovaglie, a fronte degli 89 previsti. Tale stato di emergenza era frutto di due cause principali strettamente legate alla guerra. Mentre la produzione di grano crollava da 76.291.000 tonnellate del 1915 a 62.225.000 del 1917, la requisizione di materiale rotabile dirottata al fronte aggravava la lentezza dei trasporti, già in difficoltà a causa dalla rete ferroviaria insufficiente e del lungo percorso che divideva Mosca e Pietrogrado dai granai ucraini. Buona parte del raccolto inoltre veniva assegnato direttamente all'esercito così che nel 1916/1917 giunsero alle città solamente 4.831.000 tonnellate di grano. Alla crisi alimentare inoltre si univa la crescente urbanizzazione delle città dovuta al boom economico innescato dalla Grande Guerra. La Russia, unica eccezione tra le potenze belligeranti, conobbe una straordinaria crescita economica con la borsa in costante rialzo. Nel 1917 le fabbriche russe, contrariamente al 1914, potevano far fronte alla produzione delle armi leggere e delle munizioni per l'esercito e della quasi totalità dell'artiglieria (tutti gli obici leggeri e medi e tre quarti dell'artiglieria pesante). Altrettanto consistente fu la crescita della produzione di carbone, di prodotti chimici e dei macchinari. Il prezzo di questo enorme sforzo fu tuttavia la crescita esponenziale del proletariato urbano che in Russia era tradizionalmente combattivo e politicizzato. La società russa estremamente arretrata nelle campagne e priva di una forte borghesia moderna nelle città, unita ad un potere politico che restava nelle mani dello zar e di una ristretta classe dirigente non riuscì a sopportare quest’intenso sviluppo economico. Il regime zarista non era più in grado di far fronte alle crescenti esigenze di una società complessa. Infatti la trasformazione repentina produsse una crescente conflittualità sociale ed una forte necessità di rinnovamento che poteva avvenire solamente tramite un radicale cambiamento nello stato e nella società. 
Fu così che il 23 febbraio 1917 scoppiarono i primi disordini a Pietrogrado e videro migliaia di donne scendere in strada a causa delle carenze alimentari e delle condizioni di vita: era la nascita del movimento rivoluzionario. Il 25 dello stesso mese lo zar Nicola II telegrafò al generale Chabalov, comandante della piazza di Pietrogrado, autorizzandolo ad usare la forza contro gli scioperanti. Tuttavia dopo le prime sparatorie diversi sottufficiali esortarono i soldati a disubbidire rifiutandosi di fare fuoco. Due giorni dopo il reggimento Volinskj si ammutinò, presto imitato da altri reparti. Diversi edifici pubblici furono occupati con le armi e contemporaneamente i bolscevichi assunsero il controllo dei lavoratori insorti nel quartiere operaio di Vyborg. Quello stesso giorno a palazzo Tauride nasceva il Soviet di Pietrogrado, che riuniva operai e contadini. Soldati e lavoratori si unirono rapidamente, isolando le truppe filogovernative da armi e munizioni e prendendo possesso di ampie aree della città. Di fatto già il 28 febbraio Chabalov aveva perso il controllo di gran parte di Pietrogrado.
Se le ragioni dei civili nell'innescare il movimento rivoluzionario erano piuttosto chiare e legate alle ristrettezze economiche imposte dallo stato di guerra, quelle dei militari erano più varie. Innanzitutto va sottolineato come la rivolta si estese soprattutto tra i reparti scelti, tendenzialmente leali allo zar e provenienti dalle aree rurali, composti tuttavia da veterani rientrati in servizio dopo essere stati feriti e giovani reclute inesperte. Tra questi uomini, chiusi in caserme improvvisate, delusi dal cattivo andamento della guerra, ebbero luogo intense discussioni se aderire o meno all'insurrezione. A rendere ancor più fertile il terreno della rivolta giungeva la scarsità di ufficiali nelle retrovie e una grande massa di sottoufficiali di estrazione sociale non troppo dissimile dai propri sottoposti e convinti della mancanza di scopi nella guerra e dell'invincibilità del nemico. Complessivamente fu una rivolta provocata dal malcontento di soldati e graduati di truppa, tradizionale caposaldo del regime zarista, e dalla scarsità di prodotti alimentari tra la popolazione civile. Un peso determinante nell'innescare il malcontento, ebbero infine le enormi perdite subite: dopo tre anni di guerra esse ammontavano a 8.750.000 morti, feriti e dispersi. 
 

La Duma, temendo un’aggressione dei propri membri e ritenendo impossibile prendere le parti del vecchio regime, decise di formare un comitato di governo provvisorio. Dopo aver raggiunto un accordo il Soviet degli operai e dei soldati, il 15 marzo fu varato un governo presieduto dal liberale Georgij E. L'vov, di cui faceva parte anche Aleksandr Fëdorovic Kerenskij, esponente dell'ala moderata del socialismo rivoluzionario. Atterrito dagli eventi lo zar abdicò lo stesso giorno: era la fine della dinastia Romanov e della Russia imperiale. 
I semi della successiva Rivoluzione d'Ottobre erano stati gettati e l'ostinazione dei governi provvisori nel proseguire una guerra impopolare e disastrosa avrebbe radicalizzato ulteriormente il nascente movimento rivoluzionario. Interessante notare come nonostante alle origini della rivoluzione russa vi fosse il cattivo andamento della guerra, a crollare fu lo stato zarista ancor prima dell'esercito. Infatti mentre all'interno del paese e nei reparti di retrovia la rivolta montava, la maggior parte dei reparti di prima linea schierati al fronte rimasero ai propri posti, con ammutinamenti, defezioni e diserzioni poco rilevanti se messe in relazione alla totalità degli uomini schierati (circa 150 mila uomini su oltre 7 milioni di soldati). La formulazione delle Tesi di Aprile e il ritorno di Lenin in Russia avrebbero dato vita ad un ben più ampio movimento rivoluzionario


Gallery

Nicola II e il figlio Alessio [AF MISGR Le Miroir, n. 174 (1917)]
Il gran duca Michele Alexandrovitch, in favore del quale Nicola II ha abdicato [AF MISGR Le Miroir, n. 175 (1917)]

Biografia

Manfred Albrecht von Richthofen

Manfred Albrecht Freiherr von Richthofen nacque a Kleinburg (Breslavia, allora parte dell’impero tedesco), da una famiglia aristocratica prussiana. Poco portato per lo studio, il futuro Barone Rosso si distingueva nell’equitazione, nella caccia e nell’atletica. Avviato alla carriera militare dal padre, ufficiale dell’esercito, ad undici anni entrò nel corpo dei cadetti che completò nel 1911 prendendo servizio in cavalleria, negli Ulani.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale partecipò alle fasi iniziali della campagna sulla fronte orientale come esploratore, venendo poi trasferito in Belgio e Francia. Con la rapida obsolescenza delle tattiche di cavalleria e il passaggio alla guerra di posizione, il reparto di Richthofen fu appiedato e destinato a compiti logistici nelle retrovie. La tranquilla vita delle seconde linee, la lontananza dai combattimenti e il suo ventilato trasferimento alla sussistenza mal si adattavano al carattere avventuroso di Richthofen, il quale iniziò a ripensare il proprio ruolo nella guerra in atto. Un’ispezione casuale al relitto di un aereo francese abbattuto fece nascere in lui la passione per il volo, spingendolo a far domanda per le Fliegertruppen des deutschen Kaiserreiches, il corpo aereo dell’esercito tedesco. Alcune fonti riferiscono che nella sua richiesta di trasferimento egli scrisse: «Non sono andato in guerra per raccogliere formaggio e uova, ma per un altro scopo». La sua richiesta fu accolta e alla fine di maggio del 1915 entrò in servizio nel corpo aereo e destinato a Colonia al 7º Reparto Complementi dell'aviazione per un corso osservatori. Tra giugno e agosto del 1915 tornò al fronte orientale e operò come osservatore aereo durante l'avanzata di von Mackensen da Gorlice a Brest-Litovsk. 
Ritornato sul fronte occidentale, fu assegnato a Ostenda e iniziò l'addestramento come pilota da combattimento. Nel corso della battaglia della Champagne conseguì la sua prima vittoria, abbattendo un Nieuport francese sopra Verdun, il 26 aprile 1916. Tuttavia, la vittoria non gli fu accreditata in quanto l’aereo andò a schiantarsi dietro le linee francesi. Trasferito nuovamente ad est, incontrò Oswald Boelcke nell’agosto del 1916. Boelcke – asso dell’aviazione– era in visita sul fronte orientale alla ricerca di candidati per la sua nuova unità da combattimento. Richthofen fu selezionato per unirsi ad una delle prime squadriglie da caccia tedesche, la Jagdstaffel 2. Poco dopo colse la prima vittoria ufficiale, abbattendo un Farman sopra Cambrai, il 17 settembre 1916. Celebrò la vittoria facendo realizzare una coppa d’argento con incise la data e il modello dell’aereo abbattuto: se ne sarebbero aggiunte altre 59 prima che la scarsità di materie prime costringesse Richthofen a non continuare la serie. 
In ottobre avvenne l’episodio che avrebbe sancito l’ascesa di Richthofen ai vertici dell’aviazione tedesca. Il suo superiore Boelcke perse la vita a causa di una collisione con un altro pilota della sua squadra. Il primo asso dell'aviazione tedesca era appena riuscito a giungere alla cifra di 40 vittorie. Manfred, che lo considerava come un vero proprio maestro, decise di applicare la cosiddetta Dicta Boelcke nel combattimento aereo, che puntava ad abbandonare l’individualismo dei piloti per usare tattiche di combattimento di squadra. Egli non era un pilota spettacolare o acrobatico, tuttavia, eccelleva nella tattica e nella precisione del tiro. Invece di utilizzare le rischiose e aggressive tattiche del fratello Lothar von Richthofen (40 vittorie aeree), Manfred svolgeva una serie di manovre volte ad assicurare il successo sia alla squadriglia che ai singoli piloti. Una di queste innovazioni consisteva nel tuffarsi dall’alto attaccando il proprio avversario con il sole alle spalle, mentre gli altri piloti della Jasta assicuravano la copertura ai fianchi e alle spalle.
Il 23 novembre 1916, Richthofen abbatté il suo più famoso avversario, l’asso britannico Lanoe Hawker, descritto da Richthofen stesso come "il Boelcke britannico". La vittoria giunse anche grazie al fatto che Richthofen volava su un Albatros D.II mentre Hawker era equipaggiato con il più vecchio DH. 2, decisamente meno performante. Dopo un lungo duello, Hawker fu colpito alla testa mentre tentava di fuggire verso le proprie linee. Era la sua undicesima vittoria. 
A gennaio 1917, con la sua sedicesima vittoria ottenne la Pour le Mèrite, la massima decorazione tedesca e poco dopo assunse il comando della Jasta 11, equipaggiata con il nuovo Albatros D.III colorato di rosso. Fu un crescendo di vittorie che portarono il suo totale a 52 aerei abbattuti: era nato il mito del Barone Rosso e del suo “Circo Volante”. Tale soprannome era in virtù sia dei vivaci colori che decoravano gli apparecchi, sia dell'abilità dei piloti, scelti attentamente da Richthofen, tra i quali vi erano il fratello Lothar e il futuro comandante della Luftwaffe e gerarca nazista Hermann Göring. 
L’efficienza della nuova Jasta era tale che nel cosiddetto “Aprile di sangue” del 1917, un grande scontro aereo nell’ambito della battaglia di Arras, il solo Richthofen colse 20 vittorie. A partire dal mese di luglio Richthofen volò con il celebre Albatros Dr. I, il triplano al quale sarebbe stato comunemente associato, malgrado egli abbia ottenuto solo 19 delle sue 80 vittorie con questo tipo di velivolo.
Il 24 giugno 1917 ebbe il comando di una nuova unità appena formata, la Jagdgeschwader I (stormo da caccia) un’unità autosufficiente mirante ad ottenere la superiorità aerea in settori decisivi, per contrastare le sempre più consistenti formazioni del Royal Flying Corps britannico. Tuttavia, già il 6 luglio 1917, durante uno scontro con una formazione di caccia britannici nei pressi di Wervicq, Richthofen subì una grave ferita alla testa, che gli provocò disorientamento e parziale cecità. Riuscì comunque a far atterrare il suo aereo in territorio amico. Richthofen fu poi costretto a sottoporsi a numerose operazioni per rimuovere i frammenti di ossa. 
Contravvenendo agli ordini del medico, il Barone Rosso tornò in servizio attivo già il 25 luglio, ma fu costretto ad un nuovo congedo di convalescenza dal 5 settembre al 23 ottobre. La ferita alla testa gli aveva causato danni permanenti come nausea post-volo e frequenti emicranie, così come un cambiamento di carattere, rendendolo più cupo, silenzioso e irascibile. Nonostante ciò riuscì a ottenere altre 22 vittorie prima di morire. 
Nel 1918, Richthofen era diventato una leggenda, e in molti temevano che la sua morte sarebbe stata un duro colpo per il morale del popolo tedesco. Tuttavia egli rifiutò il servizio a terra dopo la sua ferita, affermando che «ogni poveretto in trincea affronta comunque il suo dovere», e che avrebbe quindi continuare a volare. Forse egli stesso aveva interiorizzato il culto dell'eroe ufficializzato dalla propaganda di guerra. In Germania fu fatta circolare la voce (infondata) che gli inglesi stessero addestrando reparti aerei appositamente per dare la caccia a Richthofen, offrendo ricompense e il conferimento della Victoria Cross al pilota alleato che fosse riuscito ad abbatterlo. 
La fine per il Barone Bosso giunse il 21 aprile 1918. Decollò dal campo di Cappy con altri nove piloti, fra cui suo cugino Wolfram von Richthofen, che era alle sue prime missioni di guerra: insieme incontrarono i Sopwith Camel della 209ª squadriglia della neonata Royal Air Force. Il tenente canadese Wilfrid May, vedendo che Wolfram von Richthofen restava ai margini del combattimento aereo, andò all’attacco dell’aereo tedesco. Accorgendosi che il cugino era in pericolo, il Barone Rosso inseguì May, che cercava di allontanarsi, in quanto la sua mitragliatrice si era inceppata. Nel corso dell’inseguimento Richthofen non si accorse di essersi portato troppo ad ovest, sopra le linee alleate. Al combattimento intanto si era unito il capitano Arthur Roy Brown, altro pilota canadese. In inferiorità numerica Richthofen decise di disimpegnarsi ma mentre virava fu investito dal fuoco contraereo proveniente dalle trincee tenute dagli australiani e abbattuto. Richthofen atterrò in territorio alleato, già morto e riverso sulla cloche. 
Un caccia inglese in seguito lasciò cadere sul campo-base tedesco di Cappy il seguente messaggio: "Al Corpo d'aviazione tedesco. Il capitano barone Manfred von Richthofen è stato ucciso in battaglia il 21 aprile 1918 e seppellito con tutti gli onori militari". Undici giorni dopo avrebbe compiuto ventisei anni.
Le sue spoglie furono ospitate prima nel cimitero di Bertangles, vicino ad Amiens, e finita la guerra, nel Cimitero Militare Tedesco di Fricourt, sulla Somme. Nel 1925, fu infine tumulato, insieme ai più grandi eroi tedeschi, nell'Invalidenfriedhof a Berlino. Dopo la Seconda guerra mondiale, questo cimitero si ritrovò nel settore Est di Berlino e su richiesta della famiglia, nel 1976, le spoglie furono traslate a Wiesbaden, nella cappella di famiglia.   
Il mito del Barone Rosso, al di là delle indubbie capacità e del coraggio del pilota, fu costruito per ragioni propagandistiche durante la guerra. La produzione di nuovi linguaggi, volti a generare consenso e motivazione attorno alla guerra, fu una delle novità del primo conflitto mondiale e l’immagine di Richthofen – l’asso dell’aviazione tedesca – fu ampiamente utilizzata dai propagandisti. Nell’ambito della costruzione di immagini che mescolassero tematiche vecchie e nuove, l’immagine del Barone Rosso divenne opposta e complementare a quella del feldmaresciallo Paul von Hindenburg. Questi, lasciato il servizio attivo nel 1911, allo scoppio della guerra fu richiamato per fronteggiare l'invasione russa della Prussia, cogliendo una grande vittoria a Tannenberg. Dopo questo trionfo Hindenburg divenne un eroe nazionale e Tannenberg un episodio centrale per la propaganda tedesca. Un impatto che derivava dal richiamo a una battaglia combattutasi nel 1410, nella vicina Grunwald, dove le truppe polacche e lituane sconfissero i cavalieri teutonici; nel corso della battaglia aveva inoltre perso la vita un antenato di Hindenburg. Il binomio Hindenburg-Tannenberg divenne uno dei più utilizzati nella propaganda bellica tedesca; esso andava a saldare la Grande Guerra – un conflitto moderno e tecnologico dove nella cruda realtà dei campi di battaglia c'era ben poco spazio per il romanticismo – a miti cavallereschi. Hindenburg, esponente della nobiltà prussiana e dalla fisicità marziale e teutonica, divenne la naturale icona della guerra tedesca contro i nemici slavi e orientali, colui che aveva riscattato la sconfitta di Grunwald di cinque secoli prima e salvato l'impero dalle armate zariste. In questo caso antico e moderno andavano a fondersi, dando profondità e continuità storica agli eventi in corso. 
Se Hindenburg, perciò, rappresentava la tradizione, Richthofen pur provenendo anch’egli dalla nobiltà prussiana, si inseriva invece come un elemento di rottura. Egli rappresentava sia la modernità del conflitto, sia lo spirito “nuovo” di quei giovani appartenenti alla generazione di luglio che erano corsi ad arruolarsi “pazzi di gioia” e desiderosi di mettersi alla prova. A ciò si aggiungeva il fascino suscitato da un un’arma recente come l'aviazione – vista come simbolo della modernità – e del combattimento aereo, pericoloso ed eroico e i cui esiti dipendevano dall'abilità del pilota ai comandi, richiamando il mito dei duelli cavallereschi. 
Richthofen, così come Baracca e il francese Guynemer, divenne l’incarnazione di un nuovo ardimento individuale, del mettersi alla prova in maniera estrema, nell'ambito di una guerra dove milioni di uomini si confondevano nell'anonimato di colossali battaglie di materiali. Al contempo i numerosi gesti cavallereschi del Barone Rosso nei confronti dei nemici abbattuti (elementi comuni alla maggior parte dei piloti) davano l’immagine di una guerra pulita e onorevole, distante dagli orrori di massa di Verdun, della Somme e dell'Isonzo. 
Un’immagine illusoria, che lo stesso Richthofen criticò. La prima edizione della sua biografia Der rote Kampfflieger, pubblicata nel 1917, scritta dagli addetti alla propaganda mentre il Barone Rosso si trovava degente in ospedale, fu criticata da Richthofen il quale da una parte non accettava l’immagine «insolente» e «arrogante» con la quale era presentato, ribadendo dall’altra una descrizione molto dura della guerra affermando: «Sono di umore infelice dopo ogni combattimento aereo. Credo che [la guerra] non sia come la gente la immagina da casa, con un urrà e un ruggito; è molto grave, molto triste». Una frase che probabilmente ci consegna un’immagine più realistica del Barone Rosse al di là del mito che egli ancora oggi rappresenta.


Link

https://www.nationalgeographic.com/history/history-magazine/article/russian-revolution-history-lenin 
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/revolutions_russian_empire
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/russian_civil_war
https://www.raiplay.it/collezioni/lerivoluzionidellastoria/la-rivoluzione-russa/la-rivoluzione-russa
https://www.britannica.com/event/Russian-Revolution/The-February-Revolution 
https://www.nationalgeographic.com/history/history-magazine/article/russian-revolution-history-lenin 


Letture

Martin Gilbert, La grande storia della Prima Guerra Mondiale, Milano, Mondadori, 2000
David Stevenson, La Grande Guerra. Una storia globale, Milano, Rizzoli, 2004
Marc Ferro, La rivoluzione del 1917: la caduta dello zarismo e le origini della rivoluzione d'ottobre, Firenze, Sansoni, 1974