La fine della guerra e la sua pesante eredità

di Gustavo Corni

La guerra 1914-1918 è nata da un conflitto localizzato nei Balcani, che a causa soprattutto delle preesistenti rivalità fra le grandi potenze e le due alleanze politico-militari in campo, si è rapidamente trasformato in un conflitto di vaste proporzioni, che ha coinvolto decine di paesi e le colonie. La guerra è diventata mondiale effettivamente nel 1917, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, che hanno rotto il loro tradizionale isolazionismo, e la rivoluzione bolscevica in Russia. Questa ha messo in campo – su scala globale – l’opzione della rivoluzione comunista, fino a quel momento limitata alle teorie politiche. Le conseguenze della guerra e della conseguente pace, definita nelle linee generali dalla conferenza di Parigi nella prima metà del 1919, sono state enormi. La stessa successiva guerra mondiale, 1939-1945, può per certi aspetti considerarsi una prosecuzione della prima. Globali sono state le conseguenze politiche (il crollo dei grandi imperi), economiche (l’ascesa degli Stati Uniti a rango di più importante economia mondiale) e sociali, provocando dinamiche e sommovimenti nuovi sia negli stati europei che nelle periferie coloniali o semi-coloniali.

Ai primi di novembre di cento anni fa si concludeva la Prima guerra mondiale, che i contemporanei battezzarono Grande Guerra, per le dimensioni di massa degli eserciti schierati, per il numero di mobilitati e di caduti, per le risorse tecnologiche ed economiche messe in campo. Ci troviamo di fronte a un conflitto che non aveva precedenti nella storia umana. La guerra ebbe iniziò nell’estate del 1914 per concludersi quattro anni e mezzo dopo. Circa 70 milioni furono i maschi adulti mobilitati dagli eserciti in campo. Di essi, circa 9 milioni morirono in battaglia o per le conseguenze delle condizioni di vita sul fronte. A questa enorme massa di caduti vanno aggiunti milioni di vittime dell’epidemia “spagnola”, scoppiata verso il finire della guerra. Essa ebbe un numero molto elevato di vittime soprattutto a causa della generale debilitazioni dei civili.

Questa era scoppiata come una crisi locale (fra Austria-Ungheria e Serbia) e si era trasformata in un conflitto fra le principali potenze europee: Francia, Gran Bretagna e Russia, scese in campo a fianco della Serbia, e Germania, Impero ottomano e Bulgaria a sostegno degli Asburgo. In un primo tempo l’Italia restò in disparte, consapevole della propria debolezza militare. Dopo un duro scontro politico, nella primavera del 1915 gli interventisti ebbero la meglio sui neutralisti. L’Italia entrò così in campo a fianco dell’Intesa. L’impostazione offensiva dell’esercito italiano sul fronte dell’Isonzo non diede risultati significativi, nonostante undici ”spallate” contro truppe austro-ungariche, meglio organizzate per la difesa, sebbene numericamente inferiori. Anzi, nell’autunno del 1917 si rischiò la sconfitta, a seguito dell’offensiva austro-germanica a Caporetto.

Solo nel 1917 la guerra era divenuta mondiale, quando i terribili danni economici provocati dalla guerra sottomarina tedesca (per bloccare i rifornimenti all’Intesa provenienti attraverso le rotte atlantiche), avevano provocato la discesa in campo della potenza nordamericana, desiderosa di difendere i propri interessi economici. Nel frattempo, la Russia era uscita dalla guerra. Una guerra così moderna mise a dura prova l’antiquato impero zarista. Dalla duplice rivoluzione era uscito un governo rivoluzionario, guidato da Lenin. Esso divenne lo spauracchio delle potenze capitalistiche, sia quelle vincitrici che quelle vinte.

La guerra, iniziata nell’aspettativa di essere breve, si trasformò in un logorante conflitto bloccato su contrapposti sistemi di trincee; soprattutto sul fronte occidentale (che contrapponeva Germania e Francia – sostenuta da truppe inglesi e del Commonwealth) le ripetute offensive dell’una e dell’altra parte furono di regola bloccate dalla difesa. Sanguinose offensive, che duravano talvolta mesi interi e costavano centinaia di migliaia di perdite per entrambe le parti, non portarono ad alcun risultato. La guerra si prolungò in uno stallo brutale, anche se nell’ultimo biennio (1917/18) i vari comandi militari modificarono le tattiche d’attacco, riducendo così in modo significativo le perdite. Ma era una guerra che non poteva risolversi con una netta vittoria sul campo. Poteva concludersi soltanto attraverso un logoramento più intenso di una parte rispetto all’altra (il cosiddetto “attrito”). E fu così che terminò sui principali fronti: l’esercito zarista uscì di scena a causa della rivoluzione all’interno, nel corso del 1917. L’esercito austro-ungarico si disgregò gradualmente nelle ultime settimane di guerra (fra ottobre e novembre 1918) non tanto a causa dell’offensiva italiana (lanciata soprattutto su pressione degli alleati), quanto per le crescenti tensioni centrifughe fra le varie nazionalità componenti l’impero, che componevano anche l’esercito imperiale. Sul fronte occidentale fu il cedimento del fronte interno (una grave crisi alimentare, la stanchezza della classe operaia e del fronte interno) a determinare la sconfitta tedesca, non una netta vittoria militare degli anglo-franco-americani.

Sul piano geopolitico, la Prima guerra mondiale portò alla dissoluzione di tre imperi multinazionali: austro-ungarico, zarista e tedesco, e la nascita di una serie di deboli stati nazionali, dalla Polonia alla Jugoslavia. La pace punitiva imposta alla Germania pose un’ipoteca per il futuro del paese, nel quale giocoforza fu costituita una repubblica parlamentare strutturalmente debole. Sebbene non si possa individuare una linea diretta fra la debolezza della repubblica e l’avvento “inevitabile” del regime hitleriano, non c’è dubbio che fra le conseguenze indirette della sconfitta e della pace punitiva vi sia stato proprio quest’ultimo, drammatico, evento. Anche l’Italia, pur vincitrice, entrò in una pesante crisi politica dalla quale conseguì (qui sì, in modo molto più diretto) l’avvento al potere nel 1922 del fascismo, il partito degli ex-combattenti.

Il panorama internazionale, che il presidente americano Wilson (dopo l’entrata in guerra degli USA nella primavera del 1917) avrebbe voluto impostato su principi di eguale dignità, di riconoscimento del diritto di autodeterminazione delle nazioni e del disarmo, in realtà era contrassegnato da aperti o latenti conflitti nazionali, da rivendicazioni “revisionistiche”, che avrebbero infine contribuito vent’anni dopo allo scatenamento di un secondo conflitto mondiale, ancora più brutale.


Gallery

Festeggiamenti presso l'Arco di Trionfo con l'arrivo dei vari ospiti internazionali [Le Miroir n. 266, 29 dicembre 1918]
Maresciallo Foch si reca all'incontro per l'armistizio [Le Miroir n. 261, 24 novembre 1918]

Testimonianze

L’armistizio

Quanto si è sperato, per tutta la guerra, nel giorno dell’armistizio, nel momento che pone fine ai delitti quotidiani! Quello, si pensava, sarà un giorno di liberazione, un giorno di gioia, allora si potrà tirare un sospiro di sollievo e sperare in tempi migliori. Ora l’armistizio è concluso e le nostre truppe hanno sospeso le ostilità. Successivamente anche quelle italiane, e il fatto che i nostri poveri soldati perlomeno non siano più esposti al pericolo di morte  derivante da un attacco nemico o da una fuga senza fiato, è l’unico risultato portato dall’armistizio. […]
Le condizioni destinate ad affermare la vittoria militare degli avversari ovviamente non ci toccano affatto. Da tempo abbiamo diviso la nostra causa da quella della maledetta Grande potenza e se questa ora viene distrutta per sempre, si annienta solo un qualcosa che da tempo è diventato incapace di vivere. Quando, però, veniamo a sapere che agli avversari alleati vengono concessi il libero movimento delle loro truppe per vie ordinarie e l’utilizzo di tutti i mezzi di trasporto necessari al libero movimento [sic!], e quindi che gli Asburgo offrono agli avversari dell’Impero la possibilità − se a loro comoda − di attaccare la Germania alle spalle, a uno vengono meno le parole per esprimere questa catastrofe morale. È probabile che gli avversari non si avvarranno di questa possibilità, visto che la Germania, che ora si trova sotto pressioni fortissime, concluderà il suo armistizio prima; è certamente vero che al Comando supremo austro-ungarico […] non spettava scelta alcuna, dal momento che nel giro di pochi giorni, forse anche di poche ore, gli avversari non avrebbero più trovato alcuna resistenza e, quindi, avrebbero potuto attraversare marciando l’intero territorio della “monarchia”; ma il fatto che la miserabile Grande potenza, per la cui affermazione i tedeschi, accecati, si sono accollati questa guerra nefasta, agisca o – se si vuole – debba agire così con il confederato, è ugualmente tremendo. […]
L’armistizio segna la fine della vecchia Austria, una fine sporca, infame; ora vogliamo vedere che verrà formata una Repubblica dell’Austria tedesca migliore e più nobile.

Fonte: Arbeiter-Zeitung. Quotidiano dell’organo centrale del partito socialdemocratico tedesco in Austria, edizione del lunedì, 4/11/1918, 1-2

 

Diario della gardenese Filomena Moroder, 8/11/1918

Davvero è arrivato l'armistizio tra Austria e Italia! La grande e orgogliosa Austria ha perso su tutta la linea. L’imperatore Carlo ha abdicato; si dice che ora si trova in Svizzera. Da quando, il giorno di tutti i Santi, è giunto il telegramma dell’armistizio, non regna più l’ordine, ma la pura anarchia. Nessuno obbedisce, tutti rubano, non arriva la posta, dal giorno di tutti i Santi non arriva più nemmeno il giornale, perché nessun ufficio postale lavora, regna la rivoluzione! La gente si riversa a Chiusa e assalta i magazzini militari e i depositi delle derrate alimentari. I soldati distribuiscono vendendo, senza averne alcun titolo e diritto, cibo e bestiame. Il più viene rubato. Nel caos generale e nel disordine, la volgarità assume tratti spaventosi. Alcuni dei soldati sulla via del ritorno verso casa, qualcuno mezzo morto di fame altri completamente ubriachi, giacciono morti al margine della strada. Tra Egna e Bolzano la situazione deve essere triste: persone decedute, cavalli morti, soldati desolati. I treni non trasportano la popolazione civile: sono sovraccarichi di militari. Gli italiani attraversano il Tirolo per combattere sul fronte tedesco. Per la Germania è quasi impossibile cedere e concludere la pace, viste le condizioni impossibili poste dall’Intesa.

Sono in corso trattative, ma già ora è quasi sicuro che passeremo all’Italia. Oggi o domani, una truppa composta da 40 italiani stazionerà qui per creare ordine e va bene così. Infatti, la situazione appare insostenibile in loco, non avrei mai creduto che a Ortisei si nasconda tanta gentaglia. Sono inorridita dal loro comportamento. I vecchi gardenesi, più raffinati, sono invece molto più discreti, si vergognano di quel che accade. […]

Fonte: Runggaldier-Mahlknecht, Margreth, ed. Wenn doch endlich Frieden wäre! Aus dem Tagebuch der Filomena Prinoth-Moroder, Gröden 1914-1920. Bolzano, Vienna: Folio Verlag, 2015,  pagg. 169 e segg.

 

Capitano di stato maggiore generale Johann Hartl a Hertha Hartl, Innsbruck, 6/11/1918

[…] Quando arrivammo qui [a Innsbruck] il 4 all’ora di pranzo [sic!], ci siamo imbattuti in un caos totale. Il Consiglio nazionale si era impossessato del potere militare prima dell’arrivo del Comando d’Armata. Solo da ieri pomeriggio i comandi militari hanno ripreso a funzionare – in accordo con il Consiglio Nazionale – ora tutto è rientrato in un ordine più o meno regolare, se e nella misura in cui si possa parlare di ordine, con un simile sfaldamento dell’esercito. Sono molto preoccupato per te […]. Non riesco a collegarmi al telefono con Kitzbühel perché la nuova linea è continuamente occupata. Solo l’altro ieri sera, dopo aver atteso 2 ore e mezza, sono riuscito a parlare con il capitano Koretz, che mi ha detto che sei tornata sana e salva a K. Mi sono tolto un peso dal cuore. Ora, però, sono già preoccupato di nuovo, perché non so come la popolazione civile si comporta lì con gli ufficiali. Saccheggi da parte dei soldati lì sono da temersi di meno, visto che K. è solo una stazione di passaggio e i treni non si fermano a lungo.
[…]
Ora ho già recuperato un po’ di buon umore, il primo periodo qui è stato un po’ deprimente, perché tutto era caotico. Il nostro bell’esercito comune purtroppo se n’è andato. Noi ufficiali di formazione monarchica dobbiamo rassegnarci a questa situazione. Ora non ci resta che attendere che cosa nascerà dalle macerie della vecchia Austria dopo il grande disordine. Le nostre formazioni di marcia qui vengono messe tutte sui treni e trasportate nell’entroterra, dai loro quadri in patria. […] Penso che il 9 o il 10 tutto sarà portato via, e io arriverò con il resto del comando a K. […] A K. purtroppo non resteremo a lungo, visto che lì il comando verrà sciolto. Che cosa succederà poi non lo so, ma non ci fasciamo la testa per questo, vero Herdi.
[…]

Fonte: Collezione Matthias Egger

 

Principe Alfons von Clary-Aldringen, ufficiale della riserva

Il 28 ottobre 1918 mi trovavo in vacanza a Teplitz, quando a Praga fu proclamata la Repubblica. Già il giorno dopo, fu una grande confusione: sventolavano le bandiere rosse e ci furono episodi di fraternizzazione tra i soldati e i consigli provvisori dei lavoratori, anche con prigionieri russi e serbi.

Prima della mia partenza da Vienna mi ero accordato con degli amici che mi avrebbero fatto sapere se a Vienna sarebbe stata intrapresa un’iniziativa per il ripristino dell’ordine. Ce lo eravamo immaginati così che tutti gli ufficiali che si trovavano a Vienna, sotto il comando del comandante generale, si sarebbero messi a disposizione dell’imperatore assicurandogli protezione. Nonostante a Praga fosse scoppiata la rivoluzione si poteva telegrafare senza fatica e di fatto ricevetti un telegramma del tenore pattuito. Il trasporto ferroviario funzionava ancora, benché lentamente: il viaggio fino a Vienna durò 36 ore, che trascorsi in piedi nel vagone sovraffollato. Giunto a destinazione, venni a sapere che le azioni militari di qualsiasi natura erano state severamente vietate dal Comando cittadino. In un primo momento andai su tutte le furie, ma poi compresi che ormai era in ogni caso troppo tardi e che un’azione come quella che ci eravamo immaginati avrebbe portato solo a uno spargimento di sangue e avrebbe messo in pericolo la famiglia imperiale; la terribile fine dello zar russo e della sua famiglia ci era nota. Delle tristi impressioni dello sfaldamento che allora mi sopraffecero a Vienna non voglio parlare. Feci ritorno a Teplitz.

Fonte: Clary-Aldringen, Alfons. Geschichten eines alten Österreichers. Berlino, Vienna: Ullstein, 1977.


Link

https://www.raicultura.it/webdoc/grande-guerra/pace-versailles/index.html#welcome
https://www.raicultura.it/webdoc/grande-guerra/italia-versailles/index.html#welcome
https://www.raicultura.it/webdoc/grande-guerra/tragico-bilancio/index.html#welcome
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/versailles_treaty_of
https://encyclopedia.1914-1918-online.net/article/the_paris_peace_conference_and_its_consequences


Letture

Antonio Badolato, Armando Rati, 1918. La fine della grande guerra. Altipiani, Grappa, Piave, Vittorio Veneto, Sometti, 2008