L'influenza spagnola

di Anna Grillini

Conosciuta come la prima malattia davvero globale della storia, contagiò circa un miliardo di persone, provocando più morti della Grande Guerra. L'epidemia si sviluppò a partire dalla primavera 1918 in forma benigna ma dall'autunno dello stesso anno e poi per tutto l'inverno 1919 si diffuse ovunque e iniziò a mietere sempre più vittime.

Mentre l'eco dei cannoni e delle urla ancora risuonava nelle trincee europee, un altrettanto letale catastrofe si abbatteva su ogni angolo del globo. Conosciuta per essere la prima malattia davvero globale della storia, la "febbre spagnola" contagiò circa un miliardo di persone, provocando più morti della Grande Guerra. Sappiamo che fino a quel momento solamente la peste nera del XIV secolo era stata più letale ma non abbiamo cifre precise circa il numero dei decessi del 1918-1919, le cifre disponibili sono molto differenti e oscillano tra i 20 e i 200 milioni di persone. L'impossibilità di stabilire il numero di morti è dovuta all'assenza di un organismo sanitario internazionale di controllo e certo il conflitto che imperversava in Europa non ha contribuito alla raccolta di dati precisi.
L'epidemia si sviluppò a partire dalla primavera del 1918 in forma benigna ma dall'autunno dello stesso anno e poi per tutto l'inverno del 1919 si diffuse ovunque e iniziò a mietere sempre più vittime. Dopo il periodo di massima diffusione i numeri dei decessi influenzali iniziarono gradualmente a diminuire, in Italia, ad esempio vennero registrati 3.184 decessi per influenza nel 1917, 274.041 nel 1918 e 31.781 nel 1919.  
Leggendo le cifre inerenti alla diffusione e alla mortalità di questo morbo sorgono spontanee almeno due domande: quali erano i sintomi di questa patologia e quali furono gli strumenti messi in campo per contenerne la diffusione?
Oggi sappiamo che il virus della spagnola è derivato da un virus aviario sviluppatosi in Asia centrale, mutato fino a divenire letale per l'uomo: «Potevano occorrere ore o giorni, ma niente fermava il decorso infausto della malattia. Medici e infermieri avevano imparato a riconoscere i segni clinici: la faccia diventava violacea, cianotica, l'espettorato era venato di sangue, i piedi parevano quasi neri. Poi, quando la fine era vicina, il paziente, che aveva ormai i polmoni pieni essudato rossastro, boccheggiava nel disperato tentativo di respirare ed emettendo una bava sanguinolenta moriva soffocato». Il contagio era estremamente facile, articolandosi per via aerea ed era ulteriormente incrementato dalla mobilità di enormi masse di persone conseguente alla guerra. Nelle trincee ogni più piccola patologia contagiosa si diffondeva con rapidità e i soldati in licenza o congedati portavano con sé il virus, contribuendo a diffonderlo in zone altrimenti sicure. 

Davanti alla pandemia la popolazione non reagì, n come nei secoli precedenti, interpretando gli eventi come un castigo divino o una metafora della morte (attribuita maggiormente al conflitto in corso) piuttosto si rivolse alla classe medica che aveva ormai raggiunto l'apice della propria popolarità e guadagnato la fiducia della popolazione. L'affermazione della microbiologia e le scoperte scientifiche inerenti ai microrganismi patogeni e ai mezzi di profilassi permisero di affrontare la pandemia come un fenomeno "terreno", pericoloso ma scientificamente definibile, piuttosto che come manifestazione di un potere divino. Nonostante le premesse, la classe medica si trovò ben presto ad annaspare dinnanzi all'aggressività dell'influenza spagnola. I passi avanti compiuti nel secolo precedente non erano sufficienti a trovare una soluzione in tempi rapidi e mentre i medici si confrontavano il virus si diffondeva. Non esistendo ancora un protocollo stabilito per affrontare le pandemie, i medici si affidarono ben presto a ricerche e tentativi personali, spesso ricorrendo solamente alla propria personale esperienza, raramente riconducibile a reali conoscenze in materia di malattie infettive. Lo smarrimento portò nuovamente in voga rimedi antichi come salassi, coppette, esalazioni: metodi inutili quando non dannosi. 
Mentre le pagine delle riviste mediche registrano i tentativi sempre più disperati di arginare il virus influenzale, i quotidiani si riempiono dei resoconti dei ricoveri e dei decessi, delle cronache dalle corsie ospedaliere e delle critiche all'incapacità medica ma i giornali erano anche il mezzo prescelto dalle autorità pubbliche per fornire indicazioni alla popolazione. Da queste pagine traspare l'ossessivo incoraggiamento all'igiene di strade e case, appaiono poi pubblicità e articoli su maschere e strumenti per proteggere le vie respiratorie. Questi diventano veri e propri feticci contro il virus, pur senza avere una reale efficacia pratica.
La parabola dell'influenza spagnola si estingue in tempi relativamente rapidi lasciandosi, tuttavia, dietro milioni di morti che andavano a sommarsi a quelli che giacevano sui campi di battaglia. Di fronte al potere dilagante della tecnologia che ormai ricopriva un ruolo di primo piano nell'articolarsi del conflitto ma anche nella vita quotidiana, la scienza si scopriva sorprendentemente vulnerabile di fronte a fenomeni naturali di cui ancora non possedeva una conoscenza adeguata e di cui, forse, non potrà mai avere il completo controllo.


Link

https://www.storiaememoriadibologna.it/la-pandemia-di-febbre-spagnola-149-evento 
https://www.storicang.it/a/spagnola-grande-pandemia-1918_14762

 


Letture

D. Getz, P. McCarty, Purple Death: The Mysterious Flu of 1918, Henry Holt&Company, New York, 2000G. Kolata, Epidemia, Mondadori, Milano, 2000
E. Tognotti, La Spagnola in Italia. Storia dell'influenza che fece temere la fine del mondo (1918-1919), Franco Angeli, Milano, 2001
J.M. Barry, The Great Influenza: The Epic Story of the Deadliest Plague in History, Penguin, New York, 2004
L. Spinney, 1918. L'influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo (trad. it. di Anita Taroni), Venezia, Marsilio, 2019